Il Duca e Cenerentola
Virginia Dellamore
(Per i Lettori di Historical Romance, Lettori di Rivalse)
Recensionedi Monica Montanari
Un Duca Duca
Dalla vostra Lyanne Quay di Un Conte per Tiranno!
Per la serie facciamoci degli amici, in considerazione del fatto che abbiamo davanti un’autrice che vende moltissimo, non userò i guanti di velluto e mi permetto di fare le pulci a questo retelling.
Cominciamo dai dialoghi: i personaggi si rivolgono lunghi predicozzi, il che conferisce carattere telefonato a gran parte delle conversazioni.
L’impronta esplicativa dei dialoghi riguarda anche la narrazione in genere, al limite del didascalico. Superata l’impostazione, questa ossessione esplicativa diventa infodump con effetto soap:
“Giunse in visita Perito Peraria, figlio di Alfonso Pereira Perito Peraria, reduce dalle Andamane che tanto fece soffrire la giovane, e soffrire le donne di Dos Pasos, e che quella volta mangiò due aringhe”.
L’effetto “siamo molto chiari e riassumiamo” magari contribuisce alla popolarità dell’autrice, è spesso un problema anche di Mary Balogh, ma su di me ha avuto un effetto harakiri, per evitare il quale ho letto una pagina su tre e una riga su quattro. Pur scontando questa lettura a volo d’uccello, il romanzo è molto avvincente fino al ritorno del duca da Londra, diciamo un buon 60% del romanzo, che non è poco. Si riverbera in questa affabulazione l’abilità di Virginia.
Alcune analogie sono attinte in giro, l’ho fatto anche io nel marchese e colpevolmente - una volta sola, a mia discolpa - perché mi piace troppo l’espressione occhi grandi come piattini, ma non lo farò più perché squalifica il lavoro.
Mi sono piaciute le analogie della pioggia paragonata a volte a piombo liquido altre volte a una cascata di penny. Non so se siano “attinte” - me lo direte voi, - comunque mi sono piaciute.
Il lessico a volte sfugge dal controllo come con l’uso di “scorfano” a indicare la bruttezza. Sebbene questo pesce sia frequente sui fondali britannici, per un lettore italiano, l’analogia ha un’impronta romanesca. Altre volte termini come “assertivo” e “sopra le righe” appaiono decisamente fuori contesto, legati come sono al mondo della prosa, della pubblicistica contemporanea. Ho trovato inutile l’uso della parola “diastema” per indicare lo spazio vuoto tra i denti davanti. E se lo dico io… rimproverata da tante recensioni di usare termini difficili… Nel senso: se scrivi un racconto per sordomuti come questo, metterci “diastema” è come alzare un cartello “guardate che però, l’italiano, lo conosco”.
Più in generale il principe azzurro di questo retelling sembra la controfigura del Lord della Seduzione della Chase, pelle scura, ragnetto, naso aquilino ingombrante, storia di disprezzo famigliare per le fattezze aliene e il carattere ombroso. Peraltro ha due espressioni come Harrison Ford: con cappello e senza cappello.
Sappiamo che è truce. E dopo il rientro da Londra, quando acquisita la certezza di amare la giovane e di non volerlo fare, il personaggio si blocca. L’autrice non sa come farlo evolvere e la faccenda si fa ripetitiva, anche se finalmente nella parte londinese, ci accorgiamo che è uno storico, non una fiaba sospesa in una landa sospesa dominata da un castello volante. Ho letto un paio di contemporanei della Giusti, e complessivamente direi che Amabile è più brava di Virginia, forse non si trova a proprio agio con la terza persona. Forse personalmente non è una lettrice di storici… non so. Quattro stelle perché comunque per i due terzi nella narrazione, il romanzo è avvincente.
L’impronta esplicativa dei dialoghi riguarda anche la narrazione in genere, al limite del didascalico. Superata l’impostazione, questa ossessione esplicativa diventa infodump con effetto soap:
“Giunse in visita Perito Peraria, figlio di Alfonso Pereira Perito Peraria, reduce dalle Andamane che tanto fece soffrire la giovane, e soffrire le donne di Dos Pasos, e che quella volta mangiò due aringhe”.
L’effetto “siamo molto chiari e riassumiamo” magari contribuisce alla popolarità dell’autrice, è spesso un problema anche di Mary Balogh, ma su di me ha avuto un effetto harakiri, per evitare il quale ho letto una pagina su tre e una riga su quattro. Pur scontando questa lettura a volo d’uccello, il romanzo è molto avvincente fino al ritorno del duca da Londra, diciamo un buon 60% del romanzo, che non è poco. Si riverbera in questa affabulazione l’abilità di Virginia.
Alcune analogie sono attinte in giro, l’ho fatto anche io nel marchese e colpevolmente - una volta sola, a mia discolpa - perché mi piace troppo l’espressione occhi grandi come piattini, ma non lo farò più perché squalifica il lavoro.
Mi sono piaciute le analogie della pioggia paragonata a volte a piombo liquido altre volte a una cascata di penny. Non so se siano “attinte” - me lo direte voi, - comunque mi sono piaciute.
Il lessico a volte sfugge dal controllo come con l’uso di “scorfano” a indicare la bruttezza. Sebbene questo pesce sia frequente sui fondali britannici, per un lettore italiano, l’analogia ha un’impronta romanesca. Altre volte termini come “assertivo” e “sopra le righe” appaiono decisamente fuori contesto, legati come sono al mondo della prosa, della pubblicistica contemporanea. Ho trovato inutile l’uso della parola “diastema” per indicare lo spazio vuoto tra i denti davanti. E se lo dico io… rimproverata da tante recensioni di usare termini difficili… Nel senso: se scrivi un racconto per sordomuti come questo, metterci “diastema” è come alzare un cartello “guardate che però, l’italiano, lo conosco”.
Più in generale il principe azzurro di questo retelling sembra la controfigura del Lord della Seduzione della Chase, pelle scura, ragnetto, naso aquilino ingombrante, storia di disprezzo famigliare per le fattezze aliene e il carattere ombroso. Peraltro ha due espressioni come Harrison Ford: con cappello e senza cappello.
Sappiamo che è truce. E dopo il rientro da Londra, quando acquisita la certezza di amare la giovane e di non volerlo fare, il personaggio si blocca. L’autrice non sa come farlo evolvere e la faccenda si fa ripetitiva, anche se finalmente nella parte londinese, ci accorgiamo che è uno storico, non una fiaba sospesa in una landa sospesa dominata da un castello volante. Ho letto un paio di contemporanei della Giusti, e complessivamente direi che Amabile è più brava di Virginia, forse non si trova a proprio agio con la terza persona. Forse personalmente non è una lettrice di storici… non so. Quattro stelle perché comunque per i due terzi nella narrazione, il romanzo è avvincente.
Monica Montanari
(alias Lyanne Quay, Ophelia Keen, Ashley Andrews)
Link d’acquisto a Il Duca e Cenerentola di Dellamore
N.B. LA RIVIVISCENZA DI QUESTO BLOG è DEBITRICE AD AMAZON PER AVERMI CANCELLATO TUTTE LE MIE VECCHIE RECENSIONI E AVERMENE IMPEDITE DI NUOVE. JEFF BEZOS SARà BEN FELICE DI TENERSI RECENSIONI FARLOCCHE A CENTINAIA CHE PONGONO AI VERTICI DELLE CLASSIFICHE TITOLI A VOLTE, NON DICO IMMERITEVOLI BENSì, PROPRIO ILLEGGIBILI. NON SCRITTI IN ITALIANO. CI SI DIMENTICA SEMPRE CHE QUESTE PIATTAFORME OBBEDISCONO A INTERESSI PRIVATI, NON A UN’IDEA PURCHESSIA DI “giustizia”. E DUNQUE SE PICCHI DURO E IN DIECI PROTESTANO PERCHÈ PICCHI DURO, JEFF TRA TE E QUEI DIECI (ANCORCHÈ PARENTI E AMICI DELL’AUTORE STRONCATO) SCEGLIE QUEI DIECI PERCHé DIECI È MAGGIORE DI UNO.


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