sabato 24 novembre 2018

Rumiz naviga la leggenda di Alpi e Appennini


 

Paolo Rumiz


La Leggenda dei Monti Naviganti


di Monica Montanari 
Recensioni
(Per Lettori di Favole ed Enigmi in senso molto lato) 

Viaggiare ad anima aperta

Ho trovato molto interessante la lettura di questo libro di Rumiz. È un libro vecchio risalente al 2008, dieci anni fa, e si rivela profetico.  L’occhio acuto fa Rumiz “Viaggiatore” e gli fa isolare - in mezzo a sensazioni, nomi, dati, chilometri, incontri - alcune impressioni di sintesi. Gli fa intuire sotto pelle gli spiriti della natura e delle genti di montagna. Oggi quegli spiriti  propagatisi all’Italia urbana sono divenuti rivolta antitav. Hanno distillato i vapori populisti grilloleghisti già allora presentiti dal Viaggiatore nel loro zolfo antielitario. Il caos idrogeologico del Grappa e del Piave si è tramutato in intere foreste di alberi cadavere… e altre cose che mi verranno in mente scrivendo, perché ricapitolare questo racconto di Rumiz è come cercare di afferrare cosa esattamente si è visto in un caleidoscopio.

Sopra ogni altra considerazione va notato questo: nella lettura diacronica della “Leggenda dei monti naviganti” alla luce degli eventi dell’oggi emerge la forza della prima intuizione del Viaggiatore: Alpi e Appennini come colonna vertebrale del Paese. Non dunque territorio ricettacolo di cascami della modernità e o conservatorio di tradizioni. Bensì, le terre alte vengono presentite allora e confermate oggi come incubatoio delle energie del Paese. Vorrei spendere qualche parola di dettaglio sulla parte appenninica del viaggio. Il Viaggiatore isola tre chiavi di lettura per interpretare un territorio tanto vario e sconnesso: l’animale magmatico sismico idrico che si muove inquieto sotto le cime, la chiave femminea della grande madre per interpretare la connessione cultura- natura, e una cesura tra versante adriatico meno lussureggiante e più “a nord” rispetto a un versante tirrenico ubertoso e più “meridionale” a parità di latititudini.
Mi permetto un contributo, sebbene io sia perfettamente consapevole che esso verrà letto da una cinquantina di persone e difficilmente dal Viaggiatore in persona.  Propongo l’immagine di “Guidoriccio Da Fogliano all’assedio di Montemassi”, per introdurre tre chiavi diverse per il nostro Appennino.  Il fatto è che oggi affacciarsi in cima a un’alta montagna appenninica è una vertigine desolante di territorio urbano imbastardito. In ciò sta la differenza abissale con la visione di vetta delle Alpi con corone di altre cime, in un mondo sopranuvole, separato e perturbante. L’Appennino ci fiorisce nell’anima in ciò che trattiene lo sguardo lontano dalle autostrade, dai camion, dai capannoni che si distendono ai piedi del Morrone o del Cerreto:
- innanzitutto i pascoli - e questi Rumiz li evidenzia;
- poi vi è il maschile appenninico, ovvero i luoghi di potere del colle sulla pianura;
- infine il femminile appenninico, ovvero i recessi.

Sui pascoli e sugli armenti capaci di dare musica e brivido vitale alle sommità, Rumiz molto si spende.
Sui luoghi di potere invece non si può dimenticare che l’Appennino è terra di rocche, porta il segno dell’antica fuga dai barbari. Ecco allora Guido Riccio da Fogliano navigare a cavallo tra un castello e l’altro. I luoghi di potere, le rocche e i santuari ci rivelano il fascino dell’Appennino in quanto suprematisti sulla barbarie esposta della costa. Questa rotta può condurci da Bobbio, a Canossa, a San Leo, a Urbino, a Loreto, e via via scendendo.
Infine il femminile ben intuito da Rumiz avrebbe potuto condurlo a isolare la vera forza, i recessi: le grotte, gli eremi come Monte Giove o le caverne dei fraticelli spirituali nei Sibillini. Intendiamoci non che non vi sia la menzione della conca Avellana o delle Gole dell’Infernaccio, ma non sono accomunate ai canyon delle apparizioni delle Apuane come il solco di Equi e sopratutto alle foreste appenniniche: queste sono i veri mondi segreti, scrigni pelosi di esperienze umane estreme, il recesso dei recessi.

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