sabato 13 dicembre 2014

Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco


di George Martin

Secondo Commento

di K.B. Wingard
…E per Song of Ice and Fire intendo proprio tutti i volumi. Mi riferisco almeno a tutti quelli fin qui pubblicati. Parlerò dunque del Game of Throne, dello Klash of Kings, della Storm of swords, del Feast of Crows e della Dance with Dragons nella rispettiva e confusa corrispondenza con le varie traduzioni pubblicate nei Paesi più diversi.

Beh lo ammetto ho rimandato questa recensione per troppo tempo.
 Il fantasy mi fa così, mi lascia straniata e a corto di parole.


E il fantasy delle Cronache è davvero un grande viaggio psichedelico. Va oltre il semplice edificio di un mondo inesistente e non si i limita a immaginare  …“cose soprannaturali” stavo per scrivere.
Non lo scrivo però e mi fermo per fare la prima notazione.


Ciò che accade nel mondo delle Cronache non è mai “sovrannaturale. Gli eventi più straordinari - persino covare amorevolmente uova di drago e farle schiudere -,  sono naturali perché come tali sono vissuti dai personaggi.
I dignitari accorrono nelle città libere a vedere le creature di Daenerys ma non restano mai stupiti o allibiti, semmai, si mostrano compiaciuti e ammirati dinnanzi alla magia.
Nemmeno i Maestri della Cittadella tanto scettici si stupiscono dinnanzi ai prodigi. Semplicemente non li vedono, li considerano impossibili. Un po’ come accade oggi agli studiosi di fronte ai fuochi insipegabili e improvvisi di certe lande in Italia. Piegati sotto il peso delle loro catene, liquidano le cose magiche come impossibili, solo  storie della vecchia Nan o leggende dei Primi uomini.
Lontano però dalla stabilità della vita di castello dominata dal maestro di turno, prende piede la natura selvaggia e con essa i suoi misteri “più che naturali”. 
George Martin ci porta fuori dalla logica cartesiana e ce la fa vedere.
Si consideri un'affermazione “l’uomo non può volare senza ausili fabbricati dall’ingegno umano”.
Nel mondo di Martin ciò è vero solo agli occhi di Mastro Luwin. Se infatti si allarga lo sguardo alle foreste e ai suoi abitatori, ai millenni della loro storia, si vede come in realtà la natura abbia provvisto ali alle creature e consentito ad esse di volare senza ausili d’ingegno umano.
Mi si dirà: “bella forza!”. A produrre il miracolo non sembra essere la potenza della natura ma quella del tempo, i milioni di anni necessari all’evoluzione delle specie. E qui vi volevo. Perché nel mondo di Martin il tempo non c’è.
Ho calcolato che l’estensione attuale delle Cronache equivale a 25 romanzi medi.
Mentre noi a leggerle e lui a scriverle ci siamo fatti vecchi, i protagonisti delle Cronache sono cristallizzati in un mondo senza tempo dove per lo più si viene uccisi ma invecchiare e morire non se ne parla. La vecchia Nan sfuma nell’eterno e solo il centenario Aemon Targaryen alla fine tirerà le cuoia per raggiunti limiti d’età.
Il tempo non scorre e non conta, lo dimostra che ci si sposi e si combatta a un’eta in cui i nostri figli ancora faticano ad allacciarsi le scarpe.
L’effetto straniante e incantatore dell’opera è grandemente debitore a questo illustre assente chiamato a latitare dal codice genetico di tutta l’invenzione di Martin.
Il mondo delle Cronache nasce infatti con le logiche del “gioco”. La mappa dei Sette Regni si stende sul tavolo come il cartone del Monopoli con i suoi segnaposti eternamente uguali a se stessi.
Tali dovranno rimanere personaggi, mappe e segnaposti, immuni al divenire per permetterci di giocare, immaginare, interpretare e appassionarci alle loro sorti, all’infinito.

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